Mio padre si chiamava Aurelio Bianchi Giovini. Storia, memorie, fantasia e documenti
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Aveva attraversato un'epoca gloriosa Bianchi Giovini, e aveva avuto un ruolo nella cultura del tempo ma la sua fama era subito svanita e il suo nome dimenticato. Era morto nel 1862, lasciando nell'indigenza la moglie Maria Bellasi assieme alle figlie Egeria, Cloe, Polimnia, Urania, Eudossia, Amelina e Talia: una figliolanza tutta al femminile che non potrà trasmettere il nome di famiglia. Il tempo, si sa, cancella ogni cosa e fra qualche anno anche i nomi delle sorelle Bianchi Giovini saranno dimenticati. Ma questo è un pensiero che non affligge Urania. Era certa che le carte lasciate dal padre sarebbero andate disperse o dimenticate in qualche cassetto, e invece le è stata regalata un'estrema unica opportunità: lei, che si è interessata al lavoro del padre fin da bambina, destando impressione in famiglia e scalpore nella buona società, dopo quarant'anni di oblio potrà restituire ad Aurelio Bianchi Giovini il riconoscimento emblematico di patriota e combattente della penna. Camilla Pulcinelli dipinge un ritratto vivido di un uomo che dedicò la sua esistenza alla libertà e alla cultura, vivendo intensamente le battaglie politiche e intellettuali del suo tempo. Un racconto che intreccia storia, emozioni e una profonda riflessione sul lascito della memoria.
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